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Le mie scuse

Pubblicato: febbraio 18, 2014 in Uncategorized
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don viscoDomenica scorsa tutta la comunità di Montescheno ha salutato, commossa, Don Antonio Visco.
E’ stato un momento toccante anche per chi, come me, da anni si è allontanato dalla Chiesa.
Alla fine, la lettura delle sue ultime parole mi ha colpito profondamente perché mi sono sentito chiamato in causa quando ha avuto l’umiltà di chiedere scusa a tutti coloro ai quali non era “arrivato”.  Avrei voluto rispondergli che ero io a dovergli  le mie scuse per un sacco di cose e, soprattutto, per non avergli permesso di “arrivarmi”.
Non è assolutamente colpa sua se sono un “non credente”, se non ho fede o se l’ho smarrita nel corso della mia vita. Sono convinto delle mie idee, così come sono certo che i valori che ci ha insegnato fin da piccoli sono valori universali che possono, anzi, devono essere un baluardo per ogni uomo, credente o meno.
In questi giorni, mi sono ricordato di una breve intervista (che riporto qui sotto) che gli feci per Eco Risveglio in occasione del suo quarantesimo anno di sacerdozio. In quel frangente, Don Antonio ricordava i valori centrali del suo insegnamento: la giustizia, la fratellanza, la solidarietà, l’apertura verso il mondo. Ebbene, caro Don, semmai avessi ragione tu e mi stessi ascoltando ti voglio rassicurare che anche a me è arrivato il tuo messaggio, forse non proprio come avresti voluto tu, forse in modo diverso, ma non per questo meno forte.

MONTESCHENO – Domenica 7 novembre, l’intera comunità di Montescheno si è stretta intorno a Don Antonio Visco per festeggiare il suo quarantesimo anno di sacerdozio tutti spesi nel piccolo comune della Valle Antrona. Lo abbiamo incontrato a Domodossola, presso la Casa Don Gianni dove lavora.

Cosa si ricorda del suo arrivo a Montescheno?
Ero appena diventato prete, avevo 25 anni, ed era la mia prima esperienza pastorale, in più era un’esperienza provvisoria perché ero stato mandato lì per sostituire Don Dario. Poi mi fu chiesto di restare e così nel settembre del 1965 feci la mia entrata ufficiale.
Che paese trovò?
Eravamo nel dopoguerra, in pieno boom economico, c’era tutta una serie d’elementi nuovi: le televisioni erano rarissime, i telefoni pure. C’era una cultura media però sufficiente a garantire un lavoro a tutti, c’era un benessere medio basso, ma generalizzato. La mia attenzione fu subito rivolta al mondo dei giovani, anche perché per me era più facile essendo io stesso giovane. Con gli adulti quando si è in età giovanile, da un certo punto di vista, si ha un po’ più di paura, perché l’adulto è più saggio, né sa più di te. E’ vero che io avevo un ruolo, però ero comunque un prete giovane.
Sua mamma come visse il cambiamento?
Lo visse molto bene anche grazie all’aiuto delle donne del paese che l’accolsero molto bene le quali furono molto importanti soprattutto in occasione della sua malattia.
Come sono cambiati i giovani da allora?
Allora i giovani vivevano in un momento storico molto favorevole perché era il ’68, perché c’era una voglia di cambiamento, di migliorare il mondo, di costruire un mondo più giusto che toccò tutti. Nello stesso tempo, a livello pastorale, erano gli anni del dopo concilio, papa Giovanni aveva trasformato la chiesa da un’istituzione chiusa, conservatrice ad un’aperta e più giovane.Oggi invece viviamo in un mondo freddo. Il giovane deve arrangiarsi da solo, sono meno sentiti quei valori di solidarietà, giustizia, fratellanza, apertura al mondo, valori che si rafforzarono quando Don Mario Tori partì per il Brasile. La sua partenza e la sua morte dopo tre anni, furono la vera svolta per la comunità perché aiutò ad aprire la dimensione del nostro contesto culturale mettendoci in contatto con una realtà lontana come quella dell’America latina.
C’è una persona o un evento che più gli è rimasto impresso?
La partenza di Don Mario Tori e la figura d’Alfonso Spattacini perché era un uomo che ha saputo perdonare chi gli aveva fatto un grave torto perché non credeva nella Chiesa, ma aveva con se sempre il Vangelo e perché curò sua figlia, disabile, con amore e profondo affetto. Poi molti altri che però non posso tutti citare.
Progetti per il futuro
La realizzazione del centro per la famiglia perché è l’arrivo naturale di quel cammino iniziato nel 1982 con alternativa A, con il discorso dei giovani. Credo che la famiglia sia la base della società ed oggi la famiglia è in crisi. Il problema è la fragilità della coppia, se la coppia non sta in piedi non stanno in piedi neanche i figli. Allora che mondo faremo? Ecco perché credo in questo progetto che finora è andato avanti attraverso donazioni, ma che ora sarà integrato con tariffe professionali, minime, sostenute da un fondo di solidarietà.