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ostacoliMatteo Renzi sta cambiando la politica italiana e dal 25 maggio sta tentando di cambiare anche quella europea e, stante le notizie delle ultime ore provenienti dalla Germania, sembra che ci stia riuscendo.
E’ difficile dire se alla fine riuscirà in questa impresa, ma sicuramente da quando ha vinto le primarie lo scorso 8 dicembre diventando prima segretario nazionale del Pd, poi Presidente del Consiglio, la politica italiana ha preso un’altra piega.
Quello che mi domando è se questo è sufficiente per cambiare verso al paese.  Cerco di spiegarmi meglio, è sufficiente la verve e la forza di Renzi per cambiare il modo di intendere la politica e gli obiettivi che questa si propone su vasta scala? Da Roma alla periferia?
Se, come scritto, l’azione del Governo Renzi sta spingendosi fino alle stanze fredde di Bruxelles, non so se quest’azione si sta sviluppando con altrettanto vigore verso il basso, nelle province, nei comuni.
Sembra che ora tutti siano diventati più o meno renziani o, come sostiene qualcuno in modo simpatico, diversamente renziani. Ma cosa significa essere renziani?
Innanzitutto, questa definizione, se mi piaceva qualche mese fa, oggi la trovo superficiale e superflua. I democratici che si sono spesi per sostenere Matteo Renzi  alle primarie del 2012, avevano tre obiettivi principali: quello della rottamazione, ossia del ricambio che doveva essere non solo, ma soprattutto generazionale, il  cambio radicale del modo di fare politica, da cerimonioso e chiuso a pratico e aperto alla società, la trasformazione del Pd da un partito concentrato soprattutto sul mantenimento dello status quo, quindi fondamentalmente conservatore, ad uno in grado di raccogliere la sfida del futuro, delle nuove generazione, trasversale e veramente riformista.
A livello nazionale, tutto questo è avvenuto o sta avvenendo. Anche a quel livello i trasformismi sono molti, ma la presenza di Renzi garantisce lo sviluppo del processo.
Si può dire la stessa cosa dei livelli locali? Qui la situazione è più complicata perché le vecchie oligarchie si sono affrettate ad appoggiare l’azione di Renzi, anche perché ne hanno tratto e ne stanno traendo beneficio, ma fondamentalmente vivono la politica e l’amministrazione nello stesso modo di sempre.
Si guarda sempre agli stessi mondi, anche perché la società fuori dal Pd non capisce come possa essere credibile quel sig. Rossi, sindaco del comune Pinco Pallino, che fino a ieri era l’avversario numero uno di Renzi e dei renziani, difensore incallito del settore pubblico in generale, di ogni comune, provincia o ente frutto della partecipazione democratica degli anni d’oro della politica partecipata, diffidente verso le imprese e i padroni in generale, sindacalista oltranzista e rivoluzionario, ma fondamentalmente inciucista e pronto a dividere le sedie dei consigli di amministrazione di tutte le partecipate possibili. E anche se, magari, nel suo comune è riuscito ad essere rieletto perché fondamentalmente è stato ed è una persona che difende la propria piccola comunità, alla faccia di quell’elettore che vede in Renzi e nel Pd di Renzi una speranza,  il sig. Rossi resta un corpo estraneo di cui diffidare. E a ragione, dico io.
E’ ovvio che se questi rimangono casi isolati, tutto rientra in un processo di normale trasformazione dove la posizione del Sig. Rossi diventa anche, paradossalmente, utile per tenere tutto insieme. Ma se al sig. Rossi, si affianca anche il sig. Bianchi, la sig. Viola e tutti coloro che fino a ieri erano sodali nella lotta contro il rinnovamento e alla politica veramente riformatrice, il rischio è che dal basso si creino tanti piccoli ostacoli che potrebbero rallentare il processo di cambiamento, ostacolarlo, insomma boicottarlo per confermare uno dei teoremi più veri della storia italiana quello che afferma che tutto cambia per non cambiar niente.
E’ così anche nel Vco? Secondo me, sono altre le realtà che rischiano di più, soprattutto quelle realtà dove il Pd ha gestito di più il potere nel corso degli anni, o dove i processi di cambiamento anche all’interno del partito democratico sono stati più lenti. Nella nostra provincia il gruppo dirigente si è confrontato in modo anche duro nel corso di questi anni, è riuscito a cambiare, a rinnovarsi, ma anche a mantenersi unito nelle sfide decisive. Insomma, quello che è avvenuto nel Pd del Vco non è stato una lotta per il potere, ma un dibattito politico franco dove i meriti sono stati sempre premiati, dove le competenze valorizzate tanto che gli elettori ci hanno dato ragione a partire dalle elezioni politiche del 2013. Qui, più che altrove, si ha la certezza che il cambiamento sia necessario, che le riforme siano un punto fondamentale non per continuare ad avere il consenso degli elettori, ma per far crescere un territorio che negli anni è rimasto indietro. Troppo indietro.
Quindi non esistono sig. Rossi? Sì, esistono e non vanno sottovalutati ed è per questo che come mi ha detto un compagno che stimo molto, è ora di chiarire chi ha vinto e chi ha perso. Chi ha perso, ha perso e non può pensare che nulla sia successo anche se è tornato a fare il sindaco del comune Pinco Pallino! Chi non ne ha imbroccata una in questi anni, agirà sempre con il freno a mano tirato perché fondamentalmente non ci ha mai creduto e mai ci crederà

All in

Pubblicato: gennaio 19, 2014 in Partito Democratico
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all-in-rapSapere che Silvio Berlusconi ieri è entrato nella sede nazionale del Pd fa un certo effetto, ma provai un sentimento ben peggiore quando questa primavera i dirigenti del Pd che avevano non vinto le elezioni, decisero senza consultare nessuno e senza nemmeno passare dalla direzione del partito di fare un governo con Berlusconi e poi continuarci insieme ancora qualche mese dopo la sua condanna definitiva a fine luglio. Ha ragione Michele Serra quando scrive che:”Ci sono almeno due cose, sul colloquio Renzi-Berlusconi, che vanno dette al netto di ogni bilancio politico e di ogni elucubrazione politologica. La prima è che la cosa davvero anomala, davvero strampalata, non è discutere le regole con il “nemico”; è governare insieme a lui. Poiché il Pd quel passo stravolgente (governare insieme a Berlusconi) l’ha già compiuto, per giunta sotto l’alto patrocinio del Capo dello Stato, perché mai il suo nuovo segretario dovrebbe astenersi da un ben più giustificabile incontro per discutere di regole comuni?
La seconda è che questo incontro non arriva a interrompere un brillante e proficuo percorso di riforma. Arriva dopo anni di penoso traccheggio e di ignavia politica; arriva dopo un Lungo Niente che solo il colpo di mano (benedetto) della Consulta ha ribaltato: senza di quello, avremmo ancora il Porcellum, e l’umiliazione sistematica della politica per mano della politica stessa. Il “qualcosa” di Renzi è sempre meglio del nulla che lo ha preceduto. Di più: è proprio il nulla che lo ha preceduto a offrire a Renzi una innegabile pezza d’appoggio”.
Ora, Renzi gode di una spinta incredibile proprio perché arriva dopo il fallimento della politica di questi ultimi decenni, sappiamo tutti che sta camminando su un filo di lana e sono certo che lo sa pure lui quanto sia pericoloso il suo percorso, ma se si vuole uscire da questo pantano politico istituzionale serve coraggio e Renzi ha dimostrato di averne in abbondanza.
Fa, infine, sorridere, leggere tutte le riserve, i timori, le preoccupazioni degli esponenti di minoranza del Pd  quelli, per intenderci, che hanno finora beneficiato delle liste bloccate, della fedeltà al capo, dell’immobilismo della politica della sinistra e degli inciucci fatti dietro le quinte con chi dicevano di combattere. Faccio un esempio, il sottosegretario Martina oggi rilascia un’intervista in cui sottolinea come siano fondamentali le preferenze per la nuova legge elettorale dimenticandosi, lui come altri, che nel 1991 gli italiani scelsero di abrogare le preferenze, simbolo di una politica clientelare e tangentara. Furono quasi 25 milioni gli italiani che si dichiararono contro il sistema delle preferenze. E’ vero, sono passati oltre 20 anni, ma questo non può farci dimenticare la volontà del popolo italiano e pur capendo che in questi anni si è sempre fatto il contrario della volontà del popolo sovrano, mi rammarica sapere che certi dirigenti si dimenticano dell’art. 1 comma 2 della nostra costituzione:”La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Non esiste un sistema elettorale perfetto, ma sarebbe un grande passo avanti se in questa fase tutti mettessero via i propri interessi di parte, per mettere al centro quelli del paese.
L’ho scritto ieri e ne sono ancor più convinto oggi, la politica in queste ore si sta giocando tutto, come in una partita a poker. Se ce la farà, forse potrà iniziare una nuova fase di ricostruzione e di trasformazione, se fallirà tutto il sistema rischia di cadere e la strada che avremo davanti rischia di essere buia e pericolosa.

parlamentoLa XVII legislatura potrebbe rilevarsi la più corta della storia (il 17 porta sfiga) oppure potrebbe diventare quella costituente che da tempo tutti reclamano e che non c’è mai stata.
Dal momento che non sono scaramantico, spero tanto che sia la seconda ipotesi a realizzarsi. Di certo il forte rinnovamento avvenuto in queste elezioni sembra stia dando i suoi frutti, in particolare per quanto riguarda il Partito Democratico.
I segnali sono quelli che la base aspettava da tempo,  soprattutto coloro che da anni rivendicano un Partito più in sintonia con gli umori del paese. L’elezione dei presidenti delle due Camere e quella dei capigruppo dimostrano come finalmente sia iniziata quell’opera di rinnovamento e di ringiovanimento della classe dirigente del Pd e del paese in generale.
Insomma, si sta entrando nella terza repubblica, pronti a mettere una pietra sopra sugli ultimi vent’anni.
A chi ascrivere il merito di tutto questo? Molti sostengono che lo si debba a  Grillo e al movimento 5 stelle, altri indicano Bersani, altri ancora  Renzi, i giovani turchi e chi più ne ha più ne mette.
Credo semplicemente che siano  stati i cittadini con il loro voto a dare il là a questo processo.
Tutto però rischia di trasformarsi in un temporale estivo tanto forte da scacciare il caldo, quanto veloce da consentirne l’immediato ritorno.
Serve un governo per poter dare linfa e continuità a questa fase, per poter concedere a questo Parlamento di fare le cose che fino ad oggi non sono mai state possibili. Non solo le riforme istituzionali, ma anche quelle economiche e sociali, mai state urgenti come oggi. Come? Semplicemente riportando al centro del dibattito politico il Parlamento che è e rimane il potere legislativo della nostra Repubblica, in questi anni troppe volte violentato, sia dai governi di destra che di sinistra, dai troppi decreti legge che ne hanno svilito il ruolo.
Certo, la strada per la nascita di un futuro governo Bersani sembra molto stretta, quasi impossibile, ma come scritto giorni fa è giusto e doveroso che sia lui a fare il primo tentativo, il così detto piano A. E poi? Credo che la strategia  da seguire la indichi molto chiaramente Pippo Civati.
Bisogna, scrive, presentare un esecutivo che: “[…]consentirà di ribadire che la politica non è una disciplina riservata e limitata all’influenza di pochi eletti (in alcuni casi, nemmeno eletti, ma solo nominati), ma è il patrimonio di un’intera nazione. E che si dice e fa in molti modi, nelle istituzioni o nelle professioni e sempre (sempre!) in contatto e in relazione con le persone“.
Insomma, tutti sosteniamo, giustamente,  che il Pd debba  sfidare il M5S sui suoi temi, ma da qualche giorno mi domando se non sia stato il Movimento 5 Stelle e i suoi elettori, molti dei quali ex del Pd,  a sfidare il Partito Democratico sui nostri temi?
Comunque sia quello che importa è che la sfida è stata raccolta, ma deve essere portata a termine per riuscire a raggiungere gli obbiettivi.

P.S In tutto questo, fa strano vedere il centro destra fermo, immobile, attaccato ai soliti discorsi e alle solite facce.

P.P.S. A Ballarò i Presidenti di Senato e Camera hanno appena annunciato il taglio ai propri compensi e benefit.

Provincia senza soldi

Pubblicato: febbraio 13, 2013 in Politica locale
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cotajpgOggi la Stampa locale riporta la notizia che la Regione Piemonte non è più in grado di trasferire le risorse alle province per coprire le spese che le stesse impegnano per garantire alcuni servizi.
Insomma, le province sono salve, il Vco esiste ancora, ma di soldi non se ne vedono più.
Ricordo ancora le immagini dei leghisti con le magliette che celebravano l’aumento delle risorse derivanti dei canoni Bim per la nostra provincia. Qualcuno ci può dire se quei soldi la Regione li sta ancora trasferendo?
Intanto, molte ditte che lavorano per la Provincia sono sul lastrico tanto che non riescono più a garantire nemmeno lo stipendio ai loro dipendenti.
E’ evidente che la situazione è drammatica.
Avere una provincia senza soldi non serve a nulla, se non a qualcuno per altri motivi, non certo quelli dell’autonomia.

 

Nessuna sorpresa

Pubblicato: novembre 7, 2012 in Politica
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Così succede che qualcuno si è accorto che Casini ha un solo e chiaro obbiettivo: quello di impedire al Pd di vincere le elezioni.
Qualcuno si è sorpreso, addirittura arrabbiato, sentirgli dire che non è ammissibile che il Pd e Sel, magari con solo il 30%, possano prendere un premio tale da permettere loro di governare il paese!
Per carità, dal punto di vista del principio di rappresentanza, l’osservazione ci può anche stare, ma peccato che a chiedere questo sia lo stesso Pierferdi che nel 2005, a pochi mesi dalle elezioni politiche, votò questa riforma elettorale, causando la rottura fra lo stesso Casini e Follini che si dimise da lì a poco da segretario dell’Udc. Oggi l’ex Presidente della Camera ne chiede la modifica, argomentando che allora le coalizioni rappresentavano comunque una fetta importante del paese. Come dire, le leggi elettorali le facciamo sondaggi alla mano in modo da perseguire i nostri obbiettivi particolari.
Che Casini sia questa cosa qui, non mi stupisce, anzi, mi conferma che la politica delle alleanze che la segreteria Bersani ha messo in campo in questi anni sia stata una scelta sbagliata perché nega la ragione stessa del Partito Democratico.  Tra l’altro, leggendo alcune di quelle notizie di sette anni fa, mi rattrista come in questo paese, le stesse persone passino tranquillamente da una posizione all’altra con una naturalezza incredibile. Leggere oggi l’intervista di D’Alema, pubblicata il 14 ottobre 2005, è sconfortante se si pensa che “baffetto” è dal 2008 persegue l’alleanza con Casini.
Non che mi esalti l’alleanza con Vendola, tutt’altro. Onestamente, non avrei appoggiato la nascita del Pd se avessi saputo che, dopo cinque anni, il Partito Democratico si sarebbe trovato più o meno nella stessa situazione di Ds e della Margherita di sei anni fa, costretti a stringere alleanze per vincere le elezioni.
Quello che mi sembra evidente è che se si cambierà il sistema elettorale , non  sarà fatto per creare un modello elettorale moderno e funzionale alle esigenze del paese, ma  servirà a qualcuno per impedire al Partito Democratico di governare il paese e a tutti quanti per limitare gli effetti collaterali del risultato del Movimento cinque stelle. Che tristezza!
Ci rendiamo conto che è dal 2008 che inseguiamo l’Udc?
Qualcuno poi, magari, spiegherà che il nostro progetto era ed è corretto, che sono stati gli altri a sbagliare e a non capire. Per me, il non comprendere che l’interlocutore che si ha davanti non è credibile (la prova sono i 15 anni di alleanza con Berlusconi) è un errore politico imperdonabile che testimonia, ancora una volta, la miopia di una classe dirigente ferma all’età del ferro. Pardon, del bronzo!
Spero di sbagliarmi, ma gli indizi sono da tempo chiari a molti. Forse non a tutti.

Mi arrendo

Pubblicato: ottobre 23, 2012 in Politica locale
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Ho appena letto che il consiglio regionale del Piemonte ha votato un documento che di fatto stravolge non solo la deliberazione del Consiglio delle Autonomie Locali, ma anche la legge governativa sul riordino delle province. Viene salvata anche la provincia di Asti che non avrebbe i requisiti e anziché procedere con l’unificazione delle quattro province del Nord Piemonte, il parlamentino piemontese ristabilisce la situazione pre 1992 con le vecchie province di Novara e Vercelli.  Se aggiungiamo che si è votato anche un odg per chiedere la salvaguardia anche del Vco in quanto territorio montano, il consiglio regionale di fatto cancella la sola provincia di Biella.
Aldo Reschigna ha così commentato: “Oggi scaviamo un solco profondo tra questo Consiglio e l’opinione pubblica“. Condivido, ma mi permetto di aggiungere che questa giornata segna ancora una volta la difficoltà della politica di compiere delle scelte, fossero queste anche difficili e impopolari (non in questo caso). A questo punto mi arrendo perché la politica continua a dimostrare di non essere all’altezza del compito a cui è chiamata.
Ancora una volta hanno prevalso interessi di parte, di piccole porzioni di territori, di difesa di peculiarità a scapito dell’interesse generale.
Ora, la parola passerà al governo nazionale che speriamo deciderà in maniera differente.

 

Da ieri è iniziata la festa democratica della Lucciola a Villadossola che mi vedrà occupato fino al 16 agosto a friggere pesci per le centinaia di persone che, come ogni anno, ci vengono a trovare indipendentemente dalla loro fede politica.
In questi giorni di preparazione non ho avuto modo di approfondire le notizie relative al futuro amministrativo della nostra provincia, ma mi sembra che il dibattito sia molto acceso e interessante. Va detto, tuttavia, che almeno in apparenza non sembra appassionare molto i cittadini comuni, limitando questo dibattito agli addetti ai lavori: amministratori e politici.
Riassumendo a sommi capi, direi che al momento possiamo individuare questi seguenti gruppi:
– gli irriducibili , quelli che difendono ad oltranza l’attuale provincia contro tutto e tutti;
– i nostalgici, quelli che vorrebbero tornare ai vecchi confini pre 1992 della Provincia di Novara;
-i sabaudi, quelli che vorrebbero tornare alla provincia di Novara dell’allora stato Sabaudo con Novara, Biella, Vercelli e Vco;
– gli svizzeri, quelli che è meglio unirsi al canton Ticino e poi magari diventare un cantone indipendente;
– i lombardi, quelli che auspicano una mega provincia che comprenda il Vco, Novara, Varese, Sondrio, Como e Lecco, tutti sotto il Ducato di Milano;
– gli abolizionisti, quelli che non parlano di confini perché vorrebbero abolire tutte le province.
Come potete leggere, la confusione regna sovrana e le proposte in campo, al di là dell’ironia sono molteplici e molte hanno elementi stuzzichevoli.
Secondo me, le proposte che sono più in linea con il momento che viviamo sono due: quella sabauda che porterebbe alla rinascita della provincia di quadrante e che al momento è quella che ufficialmente ha fatto l’Unione delle Province piemontesi  insieme al Governatore Cota e quella lombarda che è sicuramente la più  affascinante, ma anche la più complicata e che dovrebbe essere anticipata, a mio modo di vedere, da una riforma anche dei confini delle regioni attuali che per il momento non sembra essere all’ordine del giorno. Sono anche dell’idea che in qualche modo debbano essere i cittadini a poter decidere, in fondo siamo ancora una democrazia e non ci vedrei nulla di male se una scelta di questo tipo fosse in capo al “demos” anche se potrebbe uscire la linea abolizionista che poi è quello che è successo in Sardegna questa primavera.
Chiudo con una provocazione ironica. E perché, fra questa miriade di proposte,  non chiedere che il Verbano Cusio Ossola diventi il 51° stato degli Stati Uniti d’America?

“Siamo in piena tempesta”. E’ questa l’affermazione del presidente di Confindustria Squinzi a commento della situazione che si sta verificando sui mercati internazionali. E’ passato un anno e siamo ancora al punto di partenza, ma con la differenza che ormai i cittadini sono sull’orlo della disperazione provati da mesi di difficoltà, tagli, tasse.
E’ come un paziente che continua ad avere la febbre altissima. Ogni tanto si abbassa grazie a massicce dosi di farmaci, ma poi, inesorabilmente, sale sale e sale ancora.
Molti contestano il fatto che in periodi come questi sia necessario lasciare da parte le divisioni sui problemi marginali e concentrarci sull’emergenza. L’essenza del discorso è che le priorità in questo momento sono altre.
E’ vero, le priorità sono altre, ma questo non ci esime dal discutere di questioni che toccano la vita quotidiana anche solo di alcuni di noi. Faccio un esempio banale, ma significativo. Ieri il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato una legge per la lingua dei segni che riguarda una fetta poco significativa dal punto di vista numerico della popolazione interessata, quello lombardo ha discusso la richiesta di fusione fra il comune di Ponte di Legno e Temù.
La società moderna è molto più complessa di quella di qualche secolo fa e una classe dirigente dovrebbe essere in grado di affrontare tutti i problemi da quelli che riguardano la vita di ciascuno di noi a quelli più particolari, ma altrettanto importanti.

Finalmente il governo, prima con il decreto della spending review e poi con l’ individuazione dei criteri, sembra aver individuato il percorso per il riordino della province. Ed ecco che immediatamente si sollevano le voci in difesa della provincia del Verbano Cusio Ossola.
Forse ci dimentichiamo che se l’Italia è sull’orlo del fallimento lo deve anche a politiche che negli anni precedenti sono state miope e che hanno comportato solo l’aumento della  spesa pubblica senza una reale ricaduta sull’efficienza dei servizi. Un ente pubblico deve essere valutato per i servizi che offre ai cittadini e non per l’occupazione che crea. L’occupazione la deve creare il privato magari con la collaborazione degli enti pubblici che lo dovrebbero accompagnare nel mondo difficile della concorrenza.  Il richiamo della Lega Nord ai sindacati è quanto di più patetico abbia letto in questi giorni! Per fortuna le risposte di CGIL CISL e UIL sono state tutte all’insegna della preoccupazione, ma non delle barricate.
La difesa della nostra provincia mi sembra sia veramente fuori luogo e fuori tempo massimo. In venti anni nessuno, né a destra né a sinistra, è riuscito a dare una vera identità alla provincia azzurra. Forse si dovrebbe fare un po’ di autocritica e chiedersi perché quando si trattò di riformare le comunità montane anziché prendere i forconi contro il ministro Lanzillotta, non si chiese di trasferire tutte le funzioni delle allora 10 comunità montane alla Provincia.
Sono convinto che oggi il vero problema sia quello di salvare l’Europa e quindi l’Italia, l’economia del nostro continente. Sinceramente, la sopravvivenza della provincia del Vco non mi scalda molto il cuore.
Quindi, dato per scontato il superamento dell’attuale assetto, si tratta di valutare quale sarà il futuro. Ebbene, credo che il progetto della provincia di quadrante sia quello più corretto e verso questa prospettiva dovremo lavorare in modo che siano garantiti servizi ai cittadini più efficienti.

Ho letto molto in questo ore: interviste, blog, editoriali, mail, commenti su facebook. Ho ricevuto parecchie telefonate, sms, alcuni anche inaspettati. Ovviamente ho sentito anche critiche e mormori per essere stato uno dei contestatori all’assemblea nazionale di sabato scorso a Roma.
Innanzitutto una precisazione. Io non ho lasciato la tessera del Pd come era scritto in qualche quotidiano nazionale. Visto che mi sono sentito preso in giro, sono andato dal segretario e ho chiesto le ragioni della scelta della presidenza. Ad onor del vero, è stato molto gentile, ma non mi ha assolutamente convinto come non mi ha convinto quando mi ha detto che dobbiamo fidarci di lui. Personalmente non mi fido, soprattutto dopo aver letto l’intervista di Rosy Bindi che oltre a dichiarare che lei non si farà da parte, ammonisce il segretario ricordandogli che se lui vuole vincere le primarie, il suo appoggio come quello di Franceschini, Letta, Fioroni, Veltroni e D’Alema è indispensabile.
Ho letto e riletto quelle righe anche quando chiede che sia Bersani a chiederle di sostenerlo e ho provato una forte tristezza, ma anche la consapevolezza che stiamo facendo la cosa giusta anche se qualcuno non condivide i modi. Bersani è ostaggio di quel gruppo che più che al bene dell’Italia è interessato a difendere rendite di posizione personali e di lobby precise.
Se è vero che Berlusconi si presenterà per la sesta volta consecutiva, è altrettanto vero che il gruppo dirigente del 1996 è lo stesso di oggi. Di là c’è una monarchia assoluta, di qui un’oligarchia reazionaria. Altro che rinnovamento.
Il prossimo aprile voteranno gli uomini e le donne nate fino ai primi mesi del 1995. Vi rendete conto? In quale altro paese democratico, liberale, civile, occidentale  c’è una classe dirigente tanto bloccata?
Ci dicono che siamo degli sprovveduti, che così rischiamo di mettere a rischio la vittoria elettorale del centro sinistra alle prossime politiche, che siamo dei irresponsabili. No, non lo siamo. Siamo uomini e donne che credono ancora, ancora un poco, nella politica e nei partiti, ma che vogliono che il proprio futuro, quello nostro e dei nostri figli sia deciso da persone che siano più in sintonia con il mondo in cui viviamo.
Molti ci dicono che sono temi non prioritari che ci sono altre necessità, urgenze, problemi prima dei matrimoni gay, dei diritti civili e delle primarie. E’ vero, non lo nascondo:”Primum vivere, deinde filosofare”, dicevano i latini. Mi chiedo tuttavia se un partito che vuole governare una società moderna possa esimersi di affrontare in maniera laica, civile appunto, e moderna questi temi che sono stati affrontati e risolti in molti altri paesi, se le regole, il tema del ricambio, la stessa democrazia possa essere messa da parte per necessità economiche.
L’assemblea nazionale sabato ha discusso di molte cose tra cui di lavoro, economia, Europa, finanza in alcuni casi anche con posizioni non proprio univoche. Quindi, facciamo attenzione a darne il giusto peso, la corretta interpretazione e a non perdere il vero punto, ossia una classe dirigente troppo lontana dal quotidiano vivere di ciascuno di noi.