La strada che non presiSu Facebook ho riletto un verso di una poesia che il grande Robin Williams citava ne “L’Attimo Fuggente“.
Era il 1990, frequentavo la prima Liceo a Domodossola dove fra le attività extra che si svolgevano c’era il cineforum. Uno dei primi film che proiettarono in quella stagione fu “L’attimo Fuggente”. Da allora ho sempre amato quella pellicola e la ricordo con affetto, tanto da rendere Robin Williams uno dei miei attori preferiti.
Ricordo la fila di noi studenti che dalle aule di via Scapaccino si dirigevano verso il vecchio Cinema Uno che è stato abbattuto qualche anno fa, l’odore di noi adolescenti dagli ormoni impazziti, la ricerca del posto per essere vicino alla ragazza che più ci piaceva e soprattutto la gioia di non stare in classe ad ascoltare la lezione del professore di turno.
Rileggendo quella poesia a distanza di anni e dopo le tante strade che ho dovuto scegliere,  capisco che quelle ore sono state tra le più importanti e incisive della mia vita.

Il titolo in inglese è “The road not taken”  (la strada che non presi) di Robert Frost.

Two roads diverged in a yellow wood
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair,
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I—
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

Traduzione

Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.

Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.

Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io –
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

 

fumettoOdio il culto della personalità perché significa staccare il cervello e metterlo in naftalina, perché vuol dire rimettere tutte le speranze nelle mani di un uomo.
In questi mesi, ho visto scene che nemmeno le ragazzine al concerto di Justin Bieber farebbero e al centro di questo delirio c’era Matteo Renzi. Eppure sono tra coloro che lo hanno sostenuto fin da subito, anche se con qualche dubbio dettato dal fatto che il mio percorso era più affine a quello che stava compiendo Civati e il suo gruppo. Poi però non ho avuto più esitazioni soprattutto quando dopo aver condotto battaglie forti contro il vecchio gruppo dirigente, improvvisamente, alcuni nuovi scienziati della politica decisero di votare e sostenere il povero Pierluigi Bersani.
Di quel periodo mi ricordo le continue frecciate a Renzi e ai renziani che per alcuni sono ancora peggio di Renzi, nelle speranza di suo fallimento totale. Ricordo anche quando qualcuno affermò, tanto per capirci, che il risultato alle primarie del 2012, quelle contro Bersani quando Renzi sfiorò il 40%, era poi poca cosa, salvo gridare al miracolo in occasione delle primarie del congresso quando Civati arrivò al 14% (risultato che considero buono, ma sotto alle aspettative di molti, me compreso).
Oggi, sono ancora tutti lì a sperare in qualche suo scivolone (e ce ne sono già stati e altri ce ne saranno), nel descriverlo come un incompetente, un venditore di fumo, un destro prestato alla sinistra per salvare Berlusconi. Se poi, fa qualcosa di buono subito a dire che loro lo avevano detto prima degli altri. Un atteggiamento infantile che mi inizia a stare proprio sulle palle.
Ho sempre fatto fatica ad accettare il teorema che noi fossimo meglio degli altri, ma pensare che anche al nostro interno ci sono persone che si credono ontologicamente più puri, più democratici, mi fa imbestialire.
Ho letto un post oggi di Alessandro Gilioli che mi fa rabbrividire! Non mi è piaciuto il modo in cui Renzi è andato al governo, l’ho scritto e non l’ho cancellato. Credo nelle primarie, fatico ad accettare che si possa fare un accordo con Berlusconi, ma mi domando come sia possibile farne uno con Grillo e di una cosa inizio ad esserne certo che chi ha ottenuto un mandato in un congresso deve avere il diritto di portarlo avanti.
A Bersani noi contestavamo soprattutto la sua incapacità di essere chiaro. Di quel Pd denunciavamo la sua incapacità di decidere, di assumere una linea chiara, di dettare l’agenda politica, di avere una leadershiop forte, di continuare a lavorare su alleanze aleatorie perdendo di vista i cittadini: Casini si, Casini no, Di Pietro sì, no forse, Vendola sì, no forse, magari, bho!  Eravamo stufi di vedere ridurre il dibatttito in un compromesso al ribasso per accontentare tutte le anime, ex Ds, ex Margherita, ex popolari, rutelliani, dalemiani, fassiniani, lettiani, franceschiniania, veltroniani, mariniani, giovani turchi, fioroniani o come cavolo si definivono.
Ce lo ricordiamo oppure facciamo finta che allora andava tutto bene?
La mia coscienza, caro Alessandro Gilioli, è quella di prima, la stessa. Chiedevo che ci fosse un ricambio del gruppo dirigente, volevo che questa volta ci fossero altre persone a provare a fare le cose, ho fatto delle battaglie affinché la mia generazione potesse avere il diritto anche di sbagliare. Ecco le mie ragioni di questi anni di politica, ragioni che non ho trovato quando qualcuno mi disse che era meglio votare Bersani, anziché Renzi!
Non so se Matteo Renzi riuscirà a fare quello che ha detto, ho molti dubbi e nessuna vera certezza e anche la mia idea di rottamazione era diversa, più radicale, direi giacobina. Pensandoci, tuttavia,ricordo che i giacobini non furono poi così tanto utili alla causa della Rivoluzione. Forse tra qualche anno farò parte della cerchia dei grandi delusi, ma almeno se mi guarderò indietro potrò dire di averci provato e se, alla fine, ancora una volta non sarà cambiato nulla a perdere non sarò stato io, non sarà stata la mia coscienza, non sarà nemmeno stato Matteo Renzi, ma il paese. E non sarò migliore di altri se avremo avuto ragione,  così come non lo sono e non lo saranno se saremo noi a perdere questa scommessa.  Semplicemente, stiamo esercitando la nostra libertà di pensiero, di critica, di fare politica.
Qualcuno forse crede veramente che il fallimento della politica di Berlusconi, cosa di cui ho sempre sperato, è stato il fallimento solo di un uomo e non di un paese?

ostacoliMatteo Renzi sta cambiando la politica italiana e dal 25 maggio sta tentando di cambiare anche quella europea e, stante le notizie delle ultime ore provenienti dalla Germania, sembra che ci stia riuscendo.
E’ difficile dire se alla fine riuscirà in questa impresa, ma sicuramente da quando ha vinto le primarie lo scorso 8 dicembre diventando prima segretario nazionale del Pd, poi Presidente del Consiglio, la politica italiana ha preso un’altra piega.
Quello che mi domando è se questo è sufficiente per cambiare verso al paese.  Cerco di spiegarmi meglio, è sufficiente la verve e la forza di Renzi per cambiare il modo di intendere la politica e gli obiettivi che questa si propone su vasta scala? Da Roma alla periferia?
Se, come scritto, l’azione del Governo Renzi sta spingendosi fino alle stanze fredde di Bruxelles, non so se quest’azione si sta sviluppando con altrettanto vigore verso il basso, nelle province, nei comuni.
Sembra che ora tutti siano diventati più o meno renziani o, come sostiene qualcuno in modo simpatico, diversamente renziani. Ma cosa significa essere renziani?
Innanzitutto, questa definizione, se mi piaceva qualche mese fa, oggi la trovo superficiale e superflua. I democratici che si sono spesi per sostenere Matteo Renzi  alle primarie del 2012, avevano tre obiettivi principali: quello della rottamazione, ossia del ricambio che doveva essere non solo, ma soprattutto generazionale, il  cambio radicale del modo di fare politica, da cerimonioso e chiuso a pratico e aperto alla società, la trasformazione del Pd da un partito concentrato soprattutto sul mantenimento dello status quo, quindi fondamentalmente conservatore, ad uno in grado di raccogliere la sfida del futuro, delle nuove generazione, trasversale e veramente riformista.
A livello nazionale, tutto questo è avvenuto o sta avvenendo. Anche a quel livello i trasformismi sono molti, ma la presenza di Renzi garantisce lo sviluppo del processo.
Si può dire la stessa cosa dei livelli locali? Qui la situazione è più complicata perché le vecchie oligarchie si sono affrettate ad appoggiare l’azione di Renzi, anche perché ne hanno tratto e ne stanno traendo beneficio, ma fondamentalmente vivono la politica e l’amministrazione nello stesso modo di sempre.
Si guarda sempre agli stessi mondi, anche perché la società fuori dal Pd non capisce come possa essere credibile quel sig. Rossi, sindaco del comune Pinco Pallino, che fino a ieri era l’avversario numero uno di Renzi e dei renziani, difensore incallito del settore pubblico in generale, di ogni comune, provincia o ente frutto della partecipazione democratica degli anni d’oro della politica partecipata, diffidente verso le imprese e i padroni in generale, sindacalista oltranzista e rivoluzionario, ma fondamentalmente inciucista e pronto a dividere le sedie dei consigli di amministrazione di tutte le partecipate possibili. E anche se, magari, nel suo comune è riuscito ad essere rieletto perché fondamentalmente è stato ed è una persona che difende la propria piccola comunità, alla faccia di quell’elettore che vede in Renzi e nel Pd di Renzi una speranza,  il sig. Rossi resta un corpo estraneo di cui diffidare. E a ragione, dico io.
E’ ovvio che se questi rimangono casi isolati, tutto rientra in un processo di normale trasformazione dove la posizione del Sig. Rossi diventa anche, paradossalmente, utile per tenere tutto insieme. Ma se al sig. Rossi, si affianca anche il sig. Bianchi, la sig. Viola e tutti coloro che fino a ieri erano sodali nella lotta contro il rinnovamento e alla politica veramente riformatrice, il rischio è che dal basso si creino tanti piccoli ostacoli che potrebbero rallentare il processo di cambiamento, ostacolarlo, insomma boicottarlo per confermare uno dei teoremi più veri della storia italiana quello che afferma che tutto cambia per non cambiar niente.
E’ così anche nel Vco? Secondo me, sono altre le realtà che rischiano di più, soprattutto quelle realtà dove il Pd ha gestito di più il potere nel corso degli anni, o dove i processi di cambiamento anche all’interno del partito democratico sono stati più lenti. Nella nostra provincia il gruppo dirigente si è confrontato in modo anche duro nel corso di questi anni, è riuscito a cambiare, a rinnovarsi, ma anche a mantenersi unito nelle sfide decisive. Insomma, quello che è avvenuto nel Pd del Vco non è stato una lotta per il potere, ma un dibattito politico franco dove i meriti sono stati sempre premiati, dove le competenze valorizzate tanto che gli elettori ci hanno dato ragione a partire dalle elezioni politiche del 2013. Qui, più che altrove, si ha la certezza che il cambiamento sia necessario, che le riforme siano un punto fondamentale non per continuare ad avere il consenso degli elettori, ma per far crescere un territorio che negli anni è rimasto indietro. Troppo indietro.
Quindi non esistono sig. Rossi? Sì, esistono e non vanno sottovalutati ed è per questo che come mi ha detto un compagno che stimo molto, è ora di chiarire chi ha vinto e chi ha perso. Chi ha perso, ha perso e non può pensare che nulla sia successo anche se è tornato a fare il sindaco del comune Pinco Pallino! Chi non ne ha imbroccata una in questi anni, agirà sempre con il freno a mano tirato perché fondamentalmente non ci ha mai creduto e mai ci crederà

antonellatrapaniSono passati quattro anni da quando, nell’estate del 2010, un piccolo gruppo di iscritti del Partito Democratico decisero che era venuto il momento di mettersi in gioco e di passare dalle critiche alle proposte, lanciandosi alla “conquista” del partito provinciale.
Sembrava una sfida quasi impossibile, più finalizzata a rivendicare uno spazio e la centralità di alcuni temi , piuttosto che a vincere il congresso che si sarebbe tenuto a distanza di qualche mese.
I temi erano quelli del rinnovamento, di una diversa gestione del partito, dell’innovazione, della trasparenza, della necessità di mettere al centro le riforme degli enti locali, la semplificazione, l’energia ecc.
Per intenderci di quale periodo stiamo parlando, basti pensare che la prima Leopolda non era ancora in programma.
Alla fine di un lungo percorso, di un acceso dibattito, la nostra proposta uscì di poco vincente e Antonella Trapani divenne segretaria del Partito Democratico del Vco fra l’incredulità di molti sia all’interno che all’esterno. A novembre alcuni di noi parteciparono alla Leopolda dove Antonella intervenne e con un po’ di emozione chiese a tutti di avere coraggio, di crederci perché le partite, prima di essere vinte o perse, andavano giocate. Uscimmo da quella due giorni con un entusiasmo, una voglia di fare che ci ha aiutati a superare i tanti momenti di difficoltà. I primi tempi sono stati difficili, molti difficili perché eravamo ritenuti non all’altezza e non rappresentativi di quella che era la linea del partito a livello regionale e nazionale. Sempre contro corrente, sopratutto quando nell’autunno del 2012, Antonella fu una degli unici due segretari provinciali a sostenere Matteo Renzi nella sfida a Bersani, mentre il sottoscritto fu uno dei pochi che firmò, come membro dell’assemblea nazionale, la sua candidatura. Tutti, poi sappiamo come sono andate le cose, gli eventi che sono seguiti, ma quello che mi preme sottolineare è che, nonostante tutto, il Pd della nostra provincia con la guida di Antonella è riuscito in questi anni ad andare oltre le divisioni e guidare il partito verso traguardi che sembravano insperati. Certo, non sono la persona più adatta per fare questa analisi, ma i fatti sono una prova inconfutabile.
Nel 2010, la nostra provincia era il fortino del centro destra e della Lega: tutti i comuni maggiori erano saldamente nelle mani di Lega e Pdl, tutti tranne Villadossola; il centro destra esprimeva tre Parlamentari e tre consiglieri regionali di maggioranza.
A noi rimaneva il solo Aldo Reschigna a rappresentare le istanze del Pd del nostro territorio in Regione.
Con calma e con l’aiuto di tutti, con il passare dei mesi, elezione dopo elezione il Pd del Vco ha riconquistato Domodossola, Omegna, dopo lustri ha ottenuto una propria rappresentanza parlamentare con Enrico Borghi,  fino all’exploit di questi giorni grazie al quale anche Verbania, Gravellona e molti altri piccoli comuni sono tornati a guida PD, fino alla nomina di Aldo Reschinga nella giunta regionale.
E’ ovvio, il merito non è solo di Antonella e di chi le è stato sempre vicino in questi anni, ma è di tutti gli iscritti, i militanti, i segretari di circolo e di tutti i candidati che hanno degnamente rappresentato di volta in volta i desirata e le aspettative dei cittadini. Tuttavia, lei ha avuto un ruolo fondamentale per evitare i contrasti, le divisioni, mettendo sempre davanti il partito, il progetto, le proposte e puntando sulle persone che più di altre avrebbero potuto ottenere certi risultati. Un gran lavoro di squadra anche se, come accade anche nelle migliori squadre, qualche mal di pancia è sempre all’ordine del giorno.
Non tutti sono pronti a sposare questa tesi e a riconoscerle questi meriti, per molti Antonella e tanti di noi che l’hanno fin da subito sostenuta, rimane un corpo estraneo perché non è stata il frutto di una scelta fatta a tavolino, di un’investitura dall’alto,l’emanazione del vecchio gruppo dirigente, ma il risultato di una sfida a viso aperto, di una voglia di cambiamento reale. Questo nuovo gruppo dirigente ha avuto la sua consacrazione con la candidatura europea di Antonella, una candidatura di servizio, ma che ha testimoniato come i rapporti intessuti in questi anni anche al di fuori di questa provincia, le abbiano dato credibilità e autorevolezza tanto da farle raccogliere 18.700 preferenze, investendo meno di mille euro nella sua campagna elettorale fuori provincia.
Ora ci aspetta la sfida più difficile perché mai come in quest’occasione, il Pd del Vco ha avuto tanta responsabilità e tanto credito dai cittadini. Non possiamo fallire, non possiamo disattendere a quella richiesta di speranza che ci è inaspettatamente arrivata dagli elettori. C’è ancora qualcuno che pensa di fare come si è sempre fatto, di attendere, aspettare, buttare la palla in tribuna, sperando che la situazione diventi più favorevole per ritornare indietro. Non è il momento di aspettare, non possiamo vivere di rendita. La sfida è di quelle che fanno tremare i polsi e tutti insieme dobbiamo vincerla, perché se la perderemo, avremo perso tutti e soprattutto avrà perso il nostro territorio.

orologio-di-bolognaL’atto firmato  da Matteo Renzi che rende consultabili gli atti sulle stragi di Piazza Fontana a Milano (1969), Piazza della Loggia a Brescia (1974), del treno Italicus sempre nel 1974, Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), della stazione di Bologna nel 1980, del rapido 904 (la strage ferroviaria del Natale 1984), segna un momento storico per l’Italia.
Si sono versati centinaia e centinaia di litri di inchiostro su questi misteri italiani, sono stati pubblicati decine di libri, girati  film (uno dei più celebri è “Il muro di Gomma” del 1991 diretto da Marco Risi su Ustica) e oggi, dopo decenni, finalmente lo Stato smette di fare dell’omertà una ragion di stato e  decide di rendere pubblici tutti gli atti. Oggi, quelle lancette dell’orologio della stazione di Bologna ferme alle 10.25 di sabato 2 agosto 1980 hanno ripreso a girare.
Personalmente ho letto tanto, ho studiato molte di quelle storie terribili dove personaggi loschi, servizi segreti deviati, faccendieri, piduisti, pezzi  di guerra fredda, collusioni mafiose, legami con settori del terrorismo islamico erano il contorno  nel quale autorevoli magistrati, giornalisti, storici e scrittori cercavano  risposte da dare a tutti noi e in particolare ai parenti delle vittime.
Forse non sarà sufficiente per fare giustizia, magari tra qualche anno sapremo che tutte quelle storie erano solo supposizioni basate su indizi ideologici, forse i casi rimarranno irrisolti e la verità sarà da ricercare altrove, ma quello di oggi è, per quanto mi riguarda, il miglior modo di onorare il ricordo di quelle vittime innocenti e di chiedere scusa ai loro famigliari per anni abbandonati da uno Stato sordo e indifferente.
Basterebbe questo per chiudere questo post, ma voglio aggiungere che ciò è avvenuto grazie al cambiamento che Matteo Renzi ha portato nella politica italiana. Vorrei sentire nelle prossime ore da chi non perde occasione all’interno del PD per criticare le sue proposte, una parola di compiacimento e di orgoglio per questo atto, per quella firma PER NULLA SCONTATA.

Mio nonno era un emigrante

Pubblicato: marzo 22, 2014 in Uncategorized
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L'emigrante di A. CarusoMia mamma mi racconta che nel 1943, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, mio nonno, Agostino Chemello, classe 1927, partì nemmeno sedicenne da Molvena, provincia di Vicenza.
Racconta, mia mamma, che quando anni dopo gli capitò di accompagnarlo a Verona in una delle sue periodiche visite all’ospedale di Borgo Roma, le ricordò di quando decenni prima arrivò per la prima volta a Porta nuova: era senza scarpe, senza soldi, solo con una valigia di cartone legata con lo spago, piena di pochi stracci diretto verso il Piemonte, nella bassa vercellese, perché alcuni suoi compaesani lavoravano come braccianti nelle risaie.
Fu una delle prime tappe di un lungo viaggio da emigrante: dopo Vercelli, andò a Macugnaga in miniera, poi in Svizzera, in Belgio, in Africa e infine ancor in Svizzera dove una notte per coprire il turno di un suo collega, si attardò qualche minuto di troppo in galleria. Quella notte una mina scoppiò. Era diventato capo squadra e per questo fu l’ultimo a lasciare il luogo dell’esplosione, ma non fece in tempo e ci rimase sotto. Non morì, ma non fu più lo stesso.
Mio nonno era un emigrante. Io sono nipote di un emigrante e quando mia mamma parla della sua storia, le sue guance si rigano ancora di lacrime e i miei occhi diventano lucidi.
‘Gustin, così lo chiamavano, era un uomo rude, figlio della fame, della carestia e della guerra. Passò una vita di stenti, di privazioni e di fatiche.
Morì che non avevo compiuto ancora sedici anni, ma nonostante questo, non ricordo moltissimo di lui perché, a fine anni settanta, tornò nella sua terra, in Veneto, in mezzo a quella campagna che non era stata in grado anni prima di sfamare i suoi figli. Lo sentivo al telefono quasi tutti i giorni. Nonostante avesse passato la maggior parte della sua vita lontano dalla sua terra, parlava solo in dialetto veneto, un dialetto strettissimo che solo un orecchio allenato poteva intendere.
Mi ricordò quando una volta mi raccontò che una delle cose più difficili fu sopportare i continui soprusi che riceveva dagli svizzeri.”Sporco italiano” gli dicevano, e mentre lo dicevano giravano la testa e sputavano in senso di disprezzo.
Mio nonno aveva un fratello, lo zio Giuseppe, anche lui minatore nelle miniere di carbone del nord della Francia, vicino al confine con il Belgio. Lui non tornò più in patria, morì nel 1988 in un paesino delle Ardenne.
Questa è una storia, una delle tante di noi italiani. Credo che siano poche le persone che non abbiano parenti che lasciarono il proprio paese per cercare fortuna o, meglio, per scappare dalla fame.
Lo so, oggi l’Italia è stremata, in ginocchio a causa di una crisi lunghissima. Oggi, come decenni fa, molti italiani lasciano il proprio paese e vanno all’estero nella speranza di trovare un futuro migliore. Ma oggi, molti uomini e donne lasciano i propri villaggi e si dirigono verso l’Italia perché perseguitati dalla fame, dalla guerra, dalla carestia. Popoli che vanno, popoli che vengono. E’ la storia dell’umanità. E’ la nostra storia.
Non credo che i miei figli vivranno per sempre in Italia, forse, in fondo , non glielo auguro nemmeno. Spero, tuttavia,  che possano lasciare il loro paese in modo dignitoso, ma il futuro non lo conosce nessuno, nemmeno quelli che vorrebbero dare fuoco a quelle quaranta persone che sono ospiti in Ossola.
Ricordo che il futuro è ignoto anche per loro e per i loro figli e che la situazione che stanno vivendo quelle persone le potrebbero vivere loro oppure i loro figli. Non è un augurio, ma un ammonimento.

Le mie scuse

Pubblicato: febbraio 18, 2014 in Uncategorized
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don viscoDomenica scorsa tutta la comunità di Montescheno ha salutato, commossa, Don Antonio Visco.
E’ stato un momento toccante anche per chi, come me, da anni si è allontanato dalla Chiesa.
Alla fine, la lettura delle sue ultime parole mi ha colpito profondamente perché mi sono sentito chiamato in causa quando ha avuto l’umiltà di chiedere scusa a tutti coloro ai quali non era “arrivato”.  Avrei voluto rispondergli che ero io a dovergli  le mie scuse per un sacco di cose e, soprattutto, per non avergli permesso di “arrivarmi”.
Non è assolutamente colpa sua se sono un “non credente”, se non ho fede o se l’ho smarrita nel corso della mia vita. Sono convinto delle mie idee, così come sono certo che i valori che ci ha insegnato fin da piccoli sono valori universali che possono, anzi, devono essere un baluardo per ogni uomo, credente o meno.
In questi giorni, mi sono ricordato di una breve intervista (che riporto qui sotto) che gli feci per Eco Risveglio in occasione del suo quarantesimo anno di sacerdozio. In quel frangente, Don Antonio ricordava i valori centrali del suo insegnamento: la giustizia, la fratellanza, la solidarietà, l’apertura verso il mondo. Ebbene, caro Don, semmai avessi ragione tu e mi stessi ascoltando ti voglio rassicurare che anche a me è arrivato il tuo messaggio, forse non proprio come avresti voluto tu, forse in modo diverso, ma non per questo meno forte.

MONTESCHENO – Domenica 7 novembre, l’intera comunità di Montescheno si è stretta intorno a Don Antonio Visco per festeggiare il suo quarantesimo anno di sacerdozio tutti spesi nel piccolo comune della Valle Antrona. Lo abbiamo incontrato a Domodossola, presso la Casa Don Gianni dove lavora.

Cosa si ricorda del suo arrivo a Montescheno?
Ero appena diventato prete, avevo 25 anni, ed era la mia prima esperienza pastorale, in più era un’esperienza provvisoria perché ero stato mandato lì per sostituire Don Dario. Poi mi fu chiesto di restare e così nel settembre del 1965 feci la mia entrata ufficiale.
Che paese trovò?
Eravamo nel dopoguerra, in pieno boom economico, c’era tutta una serie d’elementi nuovi: le televisioni erano rarissime, i telefoni pure. C’era una cultura media però sufficiente a garantire un lavoro a tutti, c’era un benessere medio basso, ma generalizzato. La mia attenzione fu subito rivolta al mondo dei giovani, anche perché per me era più facile essendo io stesso giovane. Con gli adulti quando si è in età giovanile, da un certo punto di vista, si ha un po’ più di paura, perché l’adulto è più saggio, né sa più di te. E’ vero che io avevo un ruolo, però ero comunque un prete giovane.
Sua mamma come visse il cambiamento?
Lo visse molto bene anche grazie all’aiuto delle donne del paese che l’accolsero molto bene le quali furono molto importanti soprattutto in occasione della sua malattia.
Come sono cambiati i giovani da allora?
Allora i giovani vivevano in un momento storico molto favorevole perché era il ’68, perché c’era una voglia di cambiamento, di migliorare il mondo, di costruire un mondo più giusto che toccò tutti. Nello stesso tempo, a livello pastorale, erano gli anni del dopo concilio, papa Giovanni aveva trasformato la chiesa da un’istituzione chiusa, conservatrice ad un’aperta e più giovane.Oggi invece viviamo in un mondo freddo. Il giovane deve arrangiarsi da solo, sono meno sentiti quei valori di solidarietà, giustizia, fratellanza, apertura al mondo, valori che si rafforzarono quando Don Mario Tori partì per il Brasile. La sua partenza e la sua morte dopo tre anni, furono la vera svolta per la comunità perché aiutò ad aprire la dimensione del nostro contesto culturale mettendoci in contatto con una realtà lontana come quella dell’America latina.
C’è una persona o un evento che più gli è rimasto impresso?
La partenza di Don Mario Tori e la figura d’Alfonso Spattacini perché era un uomo che ha saputo perdonare chi gli aveva fatto un grave torto perché non credeva nella Chiesa, ma aveva con se sempre il Vangelo e perché curò sua figlia, disabile, con amore e profondo affetto. Poi molti altri che però non posso tutti citare.
Progetti per il futuro
La realizzazione del centro per la famiglia perché è l’arrivo naturale di quel cammino iniziato nel 1982 con alternativa A, con il discorso dei giovani. Credo che la famiglia sia la base della società ed oggi la famiglia è in crisi. Il problema è la fragilità della coppia, se la coppia non sta in piedi non stanno in piedi neanche i figli. Allora che mondo faremo? Ecco perché credo in questo progetto che finora è andato avanti attraverso donazioni, ma che ora sarà integrato con tariffe professionali, minime, sostenute da un fondo di solidarietà.

Non in questo modo

Pubblicato: febbraio 11, 2014 in Partito Democratico
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letta_renziHo votato Matteo Renzi quando tutti gli davano contro, quando tutti lo ritenevano un corpo estraneo.  L’ho votato perché ero convinto che con lui il Pd avrebbe vinto le elezioni, perché Renzi era un leader capace di parlare agli italiani. A tutti gli italiani e non solo a quelli che piacciano a noi.
L’ho votato come segretario del mio partito anche se, nel frattempo, molti  si erano trasformati in renziani, anche quelli che dovevano essere rottamati decenni fà. L’ho votato perché ero e sono convinto che il PD dovesse essere rivoltato come un calzino, l’ho votato anche se lo avrei preferito come Presidente del Consiglio, ma non in questo modo.
Per essere chiari, il governo Letta in questi ultimi tempi si è fermato, ha perso verve e soprattutto nei fatti sembra aver dato prova di non essere in grado di dare quelle risposte necessarie all’economia reale del paese, ai problemi quotidiani dei cittadini. Ma poteva fare di più? Forse, o forse potrebbe farlo ora se Enrico Letta prendesse quel coraggio che gli è un po’ mancato. Ma Renzi riuscirebbe a fare quello che Letta non ha fatto? Ho seri dubbi perché lo schema del governo non cambia, perché Renzi avrebbe la stessa maggioranza di oggi, magari numericamente un po’ più forte, ma politicamente più eterogenea e un gruppo parlamentare del Pd che rimane molto più fedele a Bersani che non a Renzi.
Si dice che questa operazione non serva a Renzi, ma al paese. Siamo sicuri? Al Paese serve chiarezza da parte della classe politica e  cambiare verso.

ilgurueilgrilloG-Pronto
C-Ciao Beppe
G-Ciao Guru
C-E dai, sai che non mi piace quella parola lì!
G-Va bene, belin, con qui capelli lì sembri uno shamano!
C-Hai visto? Avevo ragione io,  come sempre
G- Come sempre! Il solito modesto. Però non ho capito di cosa stai parlando, sai sono sole le sette di mattina e per me rimettermi in moto, alla mia età, si fa fatica
C- Parlo di quei fessi del Pd
G- Ah!
C- Te lo avevo detto di stare tranquillo che intanto non avrebbero combinato nulla
G- Sinceramente, iniziavo a farmela sotto. Stai a vedere che questo bischero qui li mette tutti in fila e fa capire loro che devono fare qualcosa altrimenti casca tutto. E invece…
C- Invece è come ti avevo detto io. Il fiorentino ha sì vinto il congresso, le primarie, ma alla fine le leggi si fanno in Parlamento e lì Renzi controlla poco o nulla. Non c’era e non c’è da preoccuparsi. Andiamo avanti con la nostra strategia.
G- Sì, ma alcuni dei nostri si stanno agitando. Sostengono che non possono in continuazione dire di no a tutto.
C- Lo so, lo so. Ho parlato con loro la scorsa settimana e gli ho detto di stare tranquilli di fidarsi di noi e, soprattutto di fidarsi di loro.
G- Di loro chi?
C- Di parte di quelli del Pd. Insomma, quelli sono gli stessi che hanno fatto il pasticcio sull’elezione del Presidente della Repubblica, mettendolo nel culo a Prodi! Sono capaci di fare di tutto!
G- E loro? Loro cosa ti hanno risposto? Sai, con te si lasciano più andare!
C- Niente, cosa vuoi che dicano? Stanno lì e ascoltano! I più hanno capito, sono persone sveglie! Anche loro hanno capito che nel loro gruppo ci saranno quelli che faranno di tutto per mettere in difficoltà Renzi, per fargli sgambetti e per impedirgli di fare quello che loro non hanno voluto fare. Sono rancorosi, livorosi, pieni di sé stessi e non sono capaci di stare in una minoranza nel partito. Quindi manderanno tutto all’aria, ma così facendo ci daranno un’altra grande spinta verso le prossime elezioni!
G- Sei un genio! Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo! Belin, sei il più astuto di tutti!
C- Non esagerare, non si tratta di essere astuti, ma solamente un po’ logici e razionali.
G- Hai sentito Veltroni cos’ha detto in direzione?
C- No, non guardo certi programmi così noiosi!
G- Ha detto che le democrazie cadono perché non sanno più decidere
C- Appunto, loro si stanno scavando la fossa e preparando il nostro trionfo. Non so se serviranno una o due elezioni, ma la strada è segnata. C’è solo un incognita.
G-Quale?
C- I coglioni di Renzi!
G- Eh?
C- Nelle prossime ore vedremo se sarà in grado di metterli all’angolo, magari spalleggiato del signore del colle.
G- Cazzo, guru, mi avevi appena rassicurato e adesso mi fai ancora paura!!
C- Niente paura, Beppe, basta aspettare ancora un po’ e sapremo.
-G Belin, non ce la faccio più ad aspettare!
C- Fai come me, prenditi la play station e gioca a qualche bel gioco di ruolo. Sai ti distrae e ti affina la mente. Ci sentiamo domani. Buona giornata
G- Io mi rimetto a dormire che fuori fa freddo! Ciao

All in

Pubblicato: gennaio 19, 2014 in Partito Democratico
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all-in-rapSapere che Silvio Berlusconi ieri è entrato nella sede nazionale del Pd fa un certo effetto, ma provai un sentimento ben peggiore quando questa primavera i dirigenti del Pd che avevano non vinto le elezioni, decisero senza consultare nessuno e senza nemmeno passare dalla direzione del partito di fare un governo con Berlusconi e poi continuarci insieme ancora qualche mese dopo la sua condanna definitiva a fine luglio. Ha ragione Michele Serra quando scrive che:”Ci sono almeno due cose, sul colloquio Renzi-Berlusconi, che vanno dette al netto di ogni bilancio politico e di ogni elucubrazione politologica. La prima è che la cosa davvero anomala, davvero strampalata, non è discutere le regole con il “nemico”; è governare insieme a lui. Poiché il Pd quel passo stravolgente (governare insieme a Berlusconi) l’ha già compiuto, per giunta sotto l’alto patrocinio del Capo dello Stato, perché mai il suo nuovo segretario dovrebbe astenersi da un ben più giustificabile incontro per discutere di regole comuni?
La seconda è che questo incontro non arriva a interrompere un brillante e proficuo percorso di riforma. Arriva dopo anni di penoso traccheggio e di ignavia politica; arriva dopo un Lungo Niente che solo il colpo di mano (benedetto) della Consulta ha ribaltato: senza di quello, avremmo ancora il Porcellum, e l’umiliazione sistematica della politica per mano della politica stessa. Il “qualcosa” di Renzi è sempre meglio del nulla che lo ha preceduto. Di più: è proprio il nulla che lo ha preceduto a offrire a Renzi una innegabile pezza d’appoggio”.
Ora, Renzi gode di una spinta incredibile proprio perché arriva dopo il fallimento della politica di questi ultimi decenni, sappiamo tutti che sta camminando su un filo di lana e sono certo che lo sa pure lui quanto sia pericoloso il suo percorso, ma se si vuole uscire da questo pantano politico istituzionale serve coraggio e Renzi ha dimostrato di averne in abbondanza.
Fa, infine, sorridere, leggere tutte le riserve, i timori, le preoccupazioni degli esponenti di minoranza del Pd  quelli, per intenderci, che hanno finora beneficiato delle liste bloccate, della fedeltà al capo, dell’immobilismo della politica della sinistra e degli inciucci fatti dietro le quinte con chi dicevano di combattere. Faccio un esempio, il sottosegretario Martina oggi rilascia un’intervista in cui sottolinea come siano fondamentali le preferenze per la nuova legge elettorale dimenticandosi, lui come altri, che nel 1991 gli italiani scelsero di abrogare le preferenze, simbolo di una politica clientelare e tangentara. Furono quasi 25 milioni gli italiani che si dichiararono contro il sistema delle preferenze. E’ vero, sono passati oltre 20 anni, ma questo non può farci dimenticare la volontà del popolo italiano e pur capendo che in questi anni si è sempre fatto il contrario della volontà del popolo sovrano, mi rammarica sapere che certi dirigenti si dimenticano dell’art. 1 comma 2 della nostra costituzione:”La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Non esiste un sistema elettorale perfetto, ma sarebbe un grande passo avanti se in questa fase tutti mettessero via i propri interessi di parte, per mettere al centro quelli del paese.
L’ho scritto ieri e ne sono ancor più convinto oggi, la politica in queste ore si sta giocando tutto, come in una partita a poker. Se ce la farà, forse potrà iniziare una nuova fase di ricostruzione e di trasformazione, se fallirà tutto il sistema rischia di cadere e la strada che avremo davanti rischia di essere buia e pericolosa.